La Voleuse (1966) di Jean Chapot merita di essere restituito ad un posto chiave nella carriera di Romy Schneider. Spesso viene semplicemente trattato come l’occasione che inaugura il sodalizio cinematografico Schneider/Piccoli, a cui, tuttavia, si preferiscono, per un approfondimento critico, i film che i due gireranno qualche anno dopo con Claude Sautet. Come ci ricorda anche la stessa attrice nel documentario di Hans Syberberg Romy – Anatomia di un volto (1967), La Voleuse segna il ritorno della Schneider in Germania dopo la fuga dal successo di Sissi e da un ruolo che le aveva dato notorietà mondiale ma che non sentiva più suo. Il film di Chapot rappresenta un ulteriore passo nel faticoso percorso della diva di vedersi riconosciuta non semplicemente come parte dello star system, ma come attrice compiuta, capace di sostenere personaggi complessi e film che commentano le realtà politiche e sociali contemporanee senza cercare rifugio in un passato consolatorio e paternalista.
La Voleuse segue, infatti, di due anni il naufragio di L’Enfer di Henri-Georges Clouzot con cui Romy sperava di essere finalmente considerata un’attrice di opere d’autore. Annunciato come “evento” cinematografico, L’Enfer non venne mai girato per i gravi problemi di salute che colpirono prima Serge Reggiani, il protagonista maschile, e, successivamente, lo stesso regista che fu così costretto a rinunciare definitivamente al progetto. Ancora una volta, l’appuntamento di Romy con l’accettazione critica è rimandato e, forse anche per questo, l’attrice veste i panni della voleuse Julia con ancora maggiore intensità e convinzione.
Complici i dialoghi letterari di Marguerite Duras, la crisi di coppia di Julia e Werner al centro de La Voleuse viene osservata dalla macchina da presa di Chapot quasi come davanti ad un teatro filmato, il loro appartamento di Berlino, dove si svolge la maggior parte dei loro confronti, viene assimilato ad un palcoscenico. Talvolta i due sono inquadrati insieme, in posizioni statiche ai limiti dell’inquadratura, l’uno di fronte all’altra o di spalle ad eludere lo sguardo del partner. Altre volte, la macchina da presa si focalizza solo sulla Schneider. Per esempio in occasione dei titoli di testa su cui, con sfondo bianco e nomi che scorrono, l’attrice parla percorrendo lo schermo da un limite all’altro, o in occasione del monologo finale con l’attrice seduta al tavolo a guardare in macchina e a sostenere il nostro sguardo.
Su questo impianto teatrale, Chapot innesta tuttavia anche una narrazione di stile realista che illustra le condizioni degli operai nella Germania Ovest degli anni del boom economico. La crisi tra Julia e Werner segue, infatti, la decisione della donna di riprendersi il figlio che, prima di sposarsi con Werner, aveva affidato, senza una formale adozione, ad una coppia di operai della Ruhr. Qui la macchina da presa di Chapot si fa più fluida con panoramiche e carrellate laterali per documentare i complessi industriali dove lavora il padre affidatario Radek (un intenso Hans Christian Blech). La contrapposizione Berlino/Ruhr è resa attraverso immagini di benessere e consumismo associati alla grande città (gli alberghi, i grandi magazzini e i parcheggi pieni di Volkswagen) mentre la provincia industriale è rappresentata ovviamente dalle sue fabbriche ma anche dagli uffici dove la burocrazia respinge le richieste di Radek. La contrapposizione tra i due luoghi riproduce, quindi, quella tra borghesia e proletariato, tra consumatori e lavoratori senza proprietà dei mezzi di produzione.
Attraverso il furto a cui il titolo fa riferimento, La Voleuse evidenzia lo sfruttamento borghese in cui anche gli affetti famigliari possono essere comprati come un giocattolo ai grandi magazzini e arrivando anche a provare a sottrarre l’unico bene della classe operaia, la prole. Tuttavia, ricordando anche il titolo della retrospettiva Romy, Vita e Romanzo, non possiamo fare a meno di pensare allo stesso furto subito dall’attrice e La Voleuse acquista nuovi significati che lo rendono sempre più un film intenso e personale per Romy Schneider.