A conclusione di questa incredibile annata, non poteva mancare un omaggio a Ugo Pirro di cui ricorre il centenario della nascita. Il suo archivio, depositato presso la Cineteca di Bologna, è ora inventariato e disponibile alla consultazione. Per ricordare la sua attività di scrittore e sceneggiatore vale la pena chiamare in causa un altro grande autore del Novecento, Leonardo Sciascia della cui nascita, l’8 gennaio prossimo, si celebrerà il secolo e che condivide con Pirro una vita dedicata alla scrittura e all’impegno civile.
A ciascuno il suo è il primo romanzo di Sciascia a diventare un film. L’accoppiata Pirro/Petri apre trionfalmente la stagione italiana del cinema impegnato. La passione per la ricerca della verità e la costruzione di storie indiziarie sono elementi imprescindibili tanto nella poetica di Sciascia quanto nella scrittura di Pirro.
Tra le migliaia di pagine che lo sceneggiatore ci ha lasciato, ricordiamo uno scritto inedito dal titolo Indagare è una cosa meravigliosa che racconta la storia di un uomo, Eugenio Sales, professore di sociologia all’Università di Roma che si presenta a un’agenzia di investigazioni, incaricando il dott. Falchi, ex commissario dell’Ufficio Politico presso la questura della Capitale, di un’indagine approfondita su di lui. L’investigatore, credendolo un pazzo, gli chiede spiegazioni e l’uomo gli risponde: "Posso solo dirle che ho bisogno di conoscere quello che ‘gli altri’ sanno di me. Di che cosa, in altri termini, in un domani potrei essere accusato… o più precisamente, se ho commesso reati, se ho danneggiato, sia pure involontariamente, altre persone, se, avendo commesso reati punibili, potrò essere scoperto e perseguito".
Fin dalle prime righe è naturale pensare al film Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), al premio Oscar, alla nomination all’Oscar come migliore sceneggiatura, alla così detta ‘trilogia del potere’ e al lungo sodalizio Pirro/Petri/Volonté, iniziato con A ciascuno il suo. Sarà un caso o un indizio prezioso che proprio il protagonista del romanzo di Sciascia sia un professore, un uomo di cultura e di sinistra: il prof. Paolo Laurana, innocente e romantico che conducendo da sé un'indagine finirà per mettersi da solo il cappio al collo. Eugenio Sales invece, diventato per propria volontà oggetto delle indagini di un ex poliziotto, riuscirà a restare impunito se pur colpevole. Meglio procedere con ordine.
Ugo Mattone, classe 1920, figlio di ferrovieri, salernitano; Leonardo Sciascia, classe 1921, figlio di zolfatari, siciliano, di Racalmuto. Il ritratto che in Sciascia l'eretico fa Felice Cavallaro, figlio di Emanuele, compaesano e amico di 'Nanà' - così apostrofavano lo scrittore le sue frequentazioni più strette - possiede notevoli affinità elettive se paragonato alla personalità di Pirro:
" [...] taciturno mentre gli altri discutevano, captando ogni dettaglio e infine chiosando con una battuta, un aforisma, un proverbio. Bisognava scippargliele con le tenaglie le parole. Gli chiedevi un parere, un giudizio e faticavi nell'imbarazzo di silenzi abissali, per conquistare una risposta. Indole pensosa, mite, ragionatore. Intelligenza profonda, antropologica. Ateo, laico, agnostico, si dibatte. Ma si può essere laici e religiosissimi. Praticando la religione della retta via".
L'identikit di Sciascia prosegue con aggettivi quali 'ostico', 'scomodo' e 'rompiscatole', in sintesi qualcuno che costringe a pensare. Per entrambi la parola scritta è stata uno strumento di liberazione, un mezzo per indagare il tessuto sociale e l'animo umano con chirurgica precisione. Accomunati da una naturale inclinazione alla riservatezza, verbalmente poco comunicativi – Pirro, a differenza dello scrittore siciliano, peccava di accessi d'ira - ma osservatori spietati, elessero la lezione pirandelliana sull'umorismo a loro guida, coniugandola all'impegno civile che per Sciascia, alla fine degli anni Settanta, si concretizzò nell'elezione a deputato radicale e nel suo coinvolgimento nelle commissioni antimafia e antiterrorismo.
Intellettuali engagé, condividono un'altra fondamentale caratteristica, raccontare per immagini e la passione per il cinema. Eppure, tutte queste affinità non furono abbastanza per far nascere tra loro un rapporto di amicizia quando Pirro, nel 1967, si trovò a lavorare alla prima trasposizione cinematografica di un romanzo di Sciascia, A ciascuno il suo (1966) e neppure l’anno successivo, quando fu chiamato a sceneggiare Il giorno della civetta (1961). Forse perché l’ambiente dei letterati – con alcune eccezioni – non si mescolava con i ‘cinematografari’, forse perché Sciascia, dopo un breve soggiorno nella Capitale, aveva preferito ristabilirsi in Sicilia, prima a Caltanisetta e poi a Palermo. E poi, come ha raccontato lo stesso Pirro, tra gli sceneggiatori e gli scrittori, c'era una sorta di pregiudizio che implicitamente confinava i primi in una categoria sui generis. Tanto è vero che per farsi un nome, Pirro decise di sconfinare, dando alle stampe il suo primo romanzo, Le soldatesse, nel 1956. È un successo internazionale, seguito nel 1959 da un secondo romanzo, Jovanka e le altre, ma come ricorderà l'autore, l'essere riconosciuto con il titolo di scrittore, invece che fargli guadagnare maggiore stima in ambito cinematografico, rese i rapporti con i colleghi più difficili. L'essere l'una e l'altra cosa e quindi nessuna, pare pirandellianamente una complessità irriducibile.
Sulla sua doppia anima, è appena uscita una notevole pubblicazione di Donata Carelli, Ugo Pirro. La scrittura del conflitto in cui viene analizzata la relazione tra i suoi primi romanzi e le successive sceneggiature che lo resero uno dei maggiori cantori del cinema italiano. Tra queste superbe prove c'è sicuramente A ciascuno il suo. Il film di Petri, presentato al Festival di Cannes, vinse come migliore sceneggiatura e si guadagnò, nel 1968, quattro Nastri d'Argento: miglior regia, miglior sceneggiatura, miglior attore protagonista (Gian Maria Volonté) e miglior attore non protagonista (Gabriele Ferzetti).
Callisto Cosulich su “ABC” lo definisce “il più bel film italiano di questi ultimi tempi”, smentendo il luogo comune che da un buon romanzo sia impossibile trarre un buon film. Prosegue sostenendo che la gran prova data da Petri/Pirro è il risultato di un fine lavoro di riscrittura cinematografica e che, per quanto Sciascia racconti per immagini, la bravura dei due è stata tramutare “in azione e intreccio tutte le implicazioni psicologiche e politiche che lo scrittore aveva inserite, approfittando in prevalenza delle pause discorsive. Nello stesso tempo - prosegue il critico - hanno rispettato “la caratteristica più qualificante di Sciascia: quella di aver inserito la Sicilia nella storia e nella realtà contemporanea, evitando di descriverla come un mondo a parte, prigioniero di tradizioni arcaiche”. La Sicilia di Germi è lontanissima; qui ne viene fuori una completamente diversa; “una Palermo che potrebbe essere Torino o Chicago, se non fosse per la cadenza dialettale dei suoi abitanti”. E soprattutto - conclude Cosulich - “nelle immagini, una lucida rabbia laica: quella che appunto mancava ai nostri film neorealisti”.
Eppure, quando Petri e Pirro inviarono il copione all’autore del romanzo per avere un suo parere, Sciascia non fu tenero, rispondendo che per come avevano ridotto il suo romanzo, tanto valeva che il film lo girassero in Puglia. E’ Pirro stesso che lo racconta, ma ben consapevole di cosa significa essere al contempo scrittore e sceneggiatore, non ne fa una tragedia e anzi comprende a fondo i limiti che un non addetto ai lavori vede in una struttura tecnico narrativa quale è una sceneggiatura. Ed è altrettanto vero che una volta visto al cinema, Sciascia stesso dichiarò che considerava A ciascuno il suo “un buonissimo film”.
Da quest’opera in poi i suoi romanzi e racconti si sono succeduti sullo schermo tra cui, per citare i più significativi, Il giorno della civetta (D. Damiani, 1968), Un caso di coscienza (G. Grimaldi, 1969), Cadaveri eccellenti (F. Rosi, 1972) e Todo Modo (E. Petri, 1976). Lo scrittore non partecipò mai alle trasposizioni cinematografiche, dichiarando che questo atteggiamento non era dettato da diffidenza nei confronti di registi e sceneggiatori, ma al contrario dalla consapevolezza che i film, per riuscire, devono essere opere autonome, indipendenti dalla letteratura anche quando questa letteratura – ed è il caso di Sciascia - è stata fortemente influenzata dal cinema.