Dopo la Napoli ferina di È piccerella di Elvira Notari (1922) facciamo un salto in una nuova città, quella solare come facciata del regime, con Vedi Napule e po’ mori diretto da Eugenio Perego (1924). All’insolenza ostentata della mala femmina Margaretella si contrappone qui l’eterno e dolce sorriso de ‘a Pupatella; l’immoralità di un amore corrotto è sostituita da un amore dolce e sincero. La storia è semplice e priva di colpi di scena: il produttore cinematografico Billy si innamora della giovane Pupatella e decide di farne una star del cinema americano. La ragazza parte quindi per gli Stati Uniti dove inizia a frequentare in amicizia un suo corregionale. Billy si ingelosisce e, convinto di essere stato tradito, la ripudia. La giovane tornerà a Napoli dove si ammalerà per il dolore. Al contrario dei film della Notari questo termina con uno scontato lieto fine.
L’attrice principale e reginetta di questo nuovo cinema napoletano è Leda Gys, attrice italiana che ebbe in sorte questo soprannome dal poeta romano Trilussa, che fu suo compagno per un certo periodo. Grazie al suo dolce sorriso e la sua attitudine alla danza riuscì a ottenere un discreto successo tramite questi film. Come detto, lo stacco con la vecchia produzione è netta, e questo è dovuto a una precisa scelta di regime che voleva evitare di mostrare all’estero i propri panni sporchi: così il degrado, sia economico che morale, e l’attenzione al vero vengono sostituiti dalla purezza di sentimenti e da una napolitanità solare e senza ombre. Tutti quelli che conoscono Pupatella la amano per la sua gentilezza e purezza d’animo: piangono come amanti feriti quando deve partire o dal dolore quando per la sofferenza perde il suo sorriso. Margaretella era invece odiata e disprezzata da tutti,capace com’era di far fuoriuscire il peggio dall’animo degli uomini.
Sono passati solo due anni tra i due film, sembrano invece passati decenni. Nonostante la complessità dei film della Notari sia decisamente maggiore, la linearità del film di Perego è comunque apprezzabile e la narrazione è ben confezionata. Vittorio Martinelli, a cui a dieci anni dalla sua scomparsa è stata dedicata questa proiezione, definiva Vedi Napule e po’ mori “un’altra perla di quel cinema popolare napoletano […] che i critici snobbavano con stupida supponenza”.
Si intravede nella trama il tentativo di rendere il prodotto esportabile all’estero, specie negli Stati Uniti, sia per i riferimenti al paese e al cinema hollywoodiano, sia per un a volte eccessivo soffermarsi su aspetti culturali quasi macchiettistici: le tarantelle, il Vesuvio o le processioni con lanci di coriandoli e stelle filanti. La nuova Italia voleva così dare una nuova immagine del paese, come patria della felicità e spensieratezza, che porterà poi al rafforzamento di alcuni stereotipi che perdurano ancora oggi.