Il titolo di lavorazione di Il ragazzo più felice del mondo era Il fan. Poi magari Gipi, il geniale fumettista di nuovo a Venezia sette anni dopo L'ultimo terrestre, ha pensato che era meglio evitare ambiguità col film di Tony Scott. Oppure, più realisticamente, il titolo ufficiale suggerisce un’idea più rasserenante, mette in campo un personaggio nel momento di massima grazia: la giovanissima età, la gioia più grande, il primato mondiale. Quasi una favola. L’esatto opposto degli odiatori seriali con cui l’autore litiga sulle sue attivissime pagine social.
Il titolare del film è sostanzialmente un mittente: di lui vediamo anzitutto le lettere, scritte nel corso di due decenni ai principali fumettisti italiani con l’obiettivo di farsi recapitare dei disegni autografi. Quando Gipi si rende conto della coincidenza, intuisce il potenziale inquietante della vicenda e, approfittando di un momento di risacca cinematografica (Domenico Procacci non vuole produrgli l’erotico gay La vita di Adelo), decide di trasformarla in cinema.
Film sul fare film, Il ragazzo più felice del mondo è per certi versi l’espansione felicemente egocentrica delle pillole realizzate da Gipi per la trasmissione Propaganda: vi ritroviamo l’ossessione per l’arrembante odio in rete da parte di perfetti sconosciuti imbarbariti dal dibattito pubblico, i dialoghi surreali con personaggi troppo assurdi per non essere veri, l’utilizzo dei codici del documentario per innescare strategie narrative in bilico tra l’autobiografia e la reinvenzione del reale. A suo modo, un oggetto indecifrabile, che nell’ammettere l’ispirazione ad un fatto reale prova a ragionare sul concetto di “filmabile”, unendo attori in ruoli bizzarri (il mago, la grafologa, l’amico travestito) ed amici coinvolti come se stessi in un patchwork interessato a capire limiti e confini del mettere in scena la realtà.
Un finto doc, che teoricamente fa tornare in mente Le ragioni dell’aragosta, alla ricerca di una sensibilità con cui reagire al dolore dello stare soli al mondo, all’incomunicabilità nell’era della comunicazione totale, al rispetto della paura. Ma anche una commedia divertentissima per quanto non di rado autoreferenziale, con un esilarante sketch dopo i titoli di coda.