Con tutto il rispetto per il programma della prossima Mostra del Cinema di Venezia, e per l'importante film di apertura - l'assai promettente Downsizing di Alexander Payne - non è un caso che i cinefili in questi giorni, sui social network, abbiano esclamato grida di giubilo per la sezione Venezia Classici. Vorrà dire qualcosa? Non abbiamo alcuna intenzione di risultare passatisti, anzi su questa testata non si fa altro che insistere spesso sul grande interesse che per noi sta riservando il cinema contemporaneo (basta saperlo trovare, ci sono talenti diffusi ovunque). Tuttavia, non si può non notare che un movimento sempre più appassionante - una sorta di CRU (Cinema Ritrovato Universe) - si sta propagando a tutte le latitudini.
Come noto, la Cineteca di Bologna porta alla 74ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia alcuni, importanti restauri. Il nuovo restauro di Novecento di Bernardo Bertolucci, realizzato da 20th Century Fox, Paramount Pictures, Istituto Luce – Cinecittà e Cineteca di Bologna, con la collaborazione di Alberto Grimaldi e il sostegno di Massimo Sordella, presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata, restituirà le meravigliose immagini della grande epopea firmata nel 1976 da Bernardo Bertolucci, immenso affresco di un secolo, dipinto attraverso lo spaccato di un territorio, quello emiliano, così emblematico nel rappresentare donne e uomini, società e lotte, dittature, guerre, Liberazioni.
Ma la Cineteca di Bologna e il suo laboratorio sbarcheranno al Lido anche con il restauro del film diretto nel 1964 da Marco Ferreri (del quale si ricordano i 20 anni dalla scomparsa), La donna scimmia, interpretato da Ugo Tognazzi e Annie Girardot. Come molti altri lavori di Marco Ferreri, anche La donna scimmia è scritto assieme allo sceneggiatore spagnolo Raphael Azcona, che così ricorda le genesi del film: “L’ispirazione per La donna scimmia ci venne a Toledo. Nel noto Hospital de Taver – vecchio e ormai fuori uso – ci accorgemmo di un dipinto raffigurante una sorta di Sacra Famiglia [La Mujer barbuda di José Ribera, chiamato Lo Spagnoletto]. C’erano il padre, il bambino e la madre intenta ad allattarlo. Questa sfoggiava, però, una lunga barba... Qualche tempo dopo seppi la storia di quella ragazzina spagnola – credo l’abbiano fatta santa – che, invocando la Vergine perché la proteggesse da un gruppo di malintenzionati, venne ricoperta da una fitta peluria che riuscì a salvarla. Ciò che la leggenda non raccontava era però il seguito della vicenda. Se, scampato il pericolo, la ragazza fosse rimasta pelosa o meno. Da qui prese, dunque, le mosse il nostro film. Un uomo trova una donna pelosa e all’inizio si comporta come una specie di protettore, ma poi smette di sfruttarla. Fra di loro inizia questa strana relazione fatta anche di tenerezza, pietà, e altre cose”.
È tutta la sezione, però, a intrigare (e infatti la seguiremo qui su Cinefilia Ritrovata, giorno per giorno). Deserto rosso di Michelangelo Antonioni (1964, Leone d’oro alla Mostra di Venezia), Gli amanti crocifissi (1954) e L’intendente Sansho (1954, Leone d’argento alla Mostra di Venezia) di Kenji Mizoguchi, I figli delle mille e una notte di Nacer Khemir (1984), Femmina ribelle di Raoul Walsh (1956), L’occhio del maligno di Claude Chabrol (1962), L’asso di picche di Miloš Forman (1963), Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg (1977), Batch ’81 di Mike De Leon (1982) e Tutto in una notte di John Landis (1985) dimostrano l'arco temporale cui ormai facciamo riferimento quando parliamo di patrimonio cinefilo. In fondo, se il contemporaneo è già una categoria del passato e noi viviamo un eterno presente, ciò almeno permette di stimare più di cento anni di film come un grande oceano di bellezza.