Essere figli a volte è più difficile dell’essere genitori, sicuramente è così per Vera Gemma, figlia di Giuliano, star internazionale nonché sex symbol per diverse generazioni. Vera e la sorella sono state, fin da piccole, introdotte ad una vita di plastica, dovevano essere le figlie trofeo da esibire in pubblico. La ricerca del fisico perfetto, o meglio della magrezza perfetta per le donne e il fisico scultoreo per gli uomini, il naso piccino e all’insù e altri ritocchi erano necessari per le figlie di uno degli attori più belli d’Italia.
Quanto può essere difficile crescere sopportando tutto questo? Come se non bastasse, oltre alle catene psicofisiche, Vera ha deciso di intraprendere una carriera artistica, ma le persone si sono quasi sempre interessate a lei come riflesso del padre e non a lei in quanto attrice o donna alla ricerca del suo talento.
Tizza Covi e Rainer Frimmel dirigono Vera Gemma all’interno di una narrazione a metà fra il documentario e la finzione. Vera è circondata da persone false e uomini che la sfruttano e anche per questo è stanca della società che la circonda. Un giorno, in macchina con il suo autista, fa un incidente nel quale viene investito un bimbo di otto anni e il padre Daniel. Dopo averli soccorsi Vera inizia a frequentare sia il piccolo Manuel che la sua famiglia, fino ad invaghirsi di Daniel.
L’innamoramento di Vera è accresciuto dai buoni sentimenti della famiglia modesta formata da padre, bambino e nonna paterna. La loro realtà rustica la cattura e la affascina, Vera finalmente non si sente giudicata e vista in relazione al suo cognome, ma è compresa e accolta. Il personaggio di Vera, cresciuta all’interno di una famiglia senza difficoltà economiche e gravi mancanze affettive, è così esageratamente mansueto e indulgente da portarla ad essere scarsamente dotata di buonsenso.
L’idea è farla essere il più vera possibile, ma la trama tende a scadere in qualcosa di fasullo e poco autentico, e il suo personaggio potrebbe ricordare il modesto Mr. Deeds interpretato da Adam Sandler. Da sottolineare c’è che Vera Gemma è un personaggio interessante e estremamente carismatico, capace nella sua espressività di coinvolgere lo spettatore in maniera quasi magnetica.
Vera è un film che non si guarda per la storia d’amore tossica, gli inganni spiccioli e gli stereotipi, ma perché Vera Gemma è straordinaria. La sua scelta di un’estetica non conforme alle norme e la sua camminata possente sul tacco 12 - enfatizzata da una regia che la asseconda e la segue nel suo muoversi tra audizioni borghesi e la periferia romana - e la sua presenza scenica sono probabilmente le cose che hanno portato Vera alla vittoria nella sezione Orizzonti alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia.
Vera è un film che si maschera con la patina della tragedia di una donna considerabile “empatica”, ma che purtroppo non fa altro che replicare atteggiamenti contro i quali il femminismo continua a battersi. Quando Vera inizia a sospettare di Daniel, primo uomo che le sembrava autentico anche se costantemente arrabbiato con la società (“brutta e cattiva”), e questo in preda a uno scatto d’ira le dà un pugno in faccia, lei invece di sporgere denuncia, coinvolgere gli assistenti sociali e prendere le distanze, preferisce continuare a “porgere l’altra guancia”. Un sentimentalismo totalmente infausto che porta la narrazione verso il declino e lascia anche un po’ lo spettatore con l’amaro in bocca perché inopportuno.
Ormai dovremmo essere oltre il solito personaggio della donna-crocerossina, agnello sacrificale e angelo del focolare, che tace ed è caritatevole anche con chi la bastona e si prende gioco di lei.