Per gli amanti del cinema di animazione, poter fare i conti con un nuovo film di Henry Selick è sempre qualcosa di magico. Non tanto, o meglio, non solo per la resa e la qualità dei prodotti di questo regista, ma soprattutto per i lunghi anni di attesa che separano i suoi lungometraggi. Selick, in maniera più o meno consapevole, scandisce le tappe di crescita del suo pubblico. Pensiamoci. Al di là dei casi di James e la pesca gigante (1996) e Monkeybone (2001), gli appassionati lo ricordano principalmente per due cult intramontabili: Nightmare Before Christmas (1993) e Coraline e la porta magica (2009).
Sedici anni di distanza tra quei due titoli. Tredici anni tra il penultimo e il recentissimo Wendell & Wild (Netflix). Selick si prende i suoi tempi. Osserva l’evolversi della società, dei costumi, delle mode, del gusto del pubblico e torna in scena quando sente di avere qualcosa di importante da urlare a gran voce, quando avverte che una generazione di spettatori è cresciuta ed è quindi tempo di proporre loro qualcosa di diverso che al contempo possa appassionare e interessare un nuovo pubblico venuto alla ribalta. Ed è proprio su questa doppia sfida che si basa il suo cinema. Un cinema che si nutre di un ossimoro interno coerente ed efficace, un cortocircuito scivoloso e ambizioso da perseguire, ma che l’autore dimostra sempre di saper controllare con grande sapienza e creatività.
Wendell & Wild è il progetto narrativamente più complesso della sua carriera. La sceneggiatura è curata insieme a Jordan Peele. L’innesto di quest’ultimo risulta evidente. La pellicola è infatti sovraccarica di personaggi, sottotrame, intrighi e plot twist che rischiano di disorientare persino il più attendo degli spettatori (provate a riassumere anche solo i primi venti minuti del film, diventa un esercizio davvero intrigante e complesso). Il progetto si inserisce perfettamente tra i codici più iconici e canonici del cinema horror, facendo i conti con marchi infernali, belzebù vari, cimiteri, suore, demoni ecc.
Ma la mano di Peele trova ancor più peso quando il film sposa venature politiche e sociali molto corpose: dall’identità sessuale dei personaggi alla natura politica e corrotta del clero, passando per il capitalismo e la lotta di classe. Non mancherà ovviamente il viaggio attraverso due mondi opposti (tematica cara a Selick e presente anche qui), ma è evidente come questa nuova pellicola abbia fame anche di altro.
Se quindi la presenza di Peele e del suo sguardo (a proposito, lo stereo a forma di occhio ricorda per assonanza la creatura di Nope) permettono a Selick di compiere uno scarto rispetto quanto trattato in precedenza, aggiornano il suo storytelling per renderlo più intrigante, machiavellico e contemporaneo, il regista statunitense non è però nemmeno disposto a cedere completamente il passo a questa forma. Sa che le nuove generazioni potrebbero gradire la struttura drammaturgica ma non si dimentica di salvaguardare il cinema che più lo appassiona. Così, la maestria della stop-motion torna a rivivere proprio quando il cinema sembra aver dimenticato questa tecnica.
Si scava nel passato in Wendell & Wild, tanto in quello dei personaggi (il film si apre con un ricordo terribile che macchierà per sempre l’esistenza e la coscienza della protagonista) quanto in quello dell’industria cinematografica. I tempi che furono sono un’entità con cui fare i conti, c’è poco da fare. Sembra essere questo il monito più ingombrante che verrà affrontato come un mantra per tutta la durata della visione. E non è un caso che il progetto voglia quindi attingere linfa vitale proprio dalle origini del cinema. Non solamente per quanto riguarda la tecnica a passo uno ma anche per l’amore che nutre verso l’uso delle ombre, da sempre ricordate come una primordiale forma di quest’arte (la sequenza del sogno, in tal senso, è una delle più riuscite del film).
Se i due demoni che danno il titolo all’opera vogliono e possono portare in vita i morti, quindi, lo si deve alla mente creativa di due registi che sembrano avere il medesimo scopo: dare (nuova) vita al cinema del passato, tornare alle origini senza dimenticarsi di restare al passo coi tempi.